L’Aconcagua è la vetta più alta delle Ande e la più alta del mondo se non si considerano le montagne dell’Himalaya. La vetta, a quota 6962 m, annualmente viene presa d’assalto da 3500 alpinisti (130 in media gli italiani). Il tasso di mortalità è basso e stando alle statistiche il 40% degli alpinisti riesce a raggiungere la cima. Stando alla mia esperienza, posso dire che questa soglia non va oltre il 20. Si dice inoltre che una spedizione in media abbia una durata che può oscillare dai 14 ai 21 giorni. Personalmente ho impiegato 10 giorni con una strategia dal sapore “vintage”. Fino al campo base, infatti, abbiamo fatto ricorso ai muli per il trasporto delle attrezzature. Successivamente io ed i miei compagni ci siamo fatti carico del trasporto senza far ricorso ai portatori.

 

Giorno 0 – 31 Gennaio

 

La mia avventura inizia ufficialmente a Mendoza (200 km dall’Aconcagua), per gli adempimenti amministrativi e burocratici. E lì che incontro per la prima volta la guida cilena Gastòn ed i miei compagni di spedizione Jean-Luc (francese) e Marcin (Polacco). Avremmo dovuto essere in 5, ma all’ultimo minuto una coppia che avrebbe dovuto essere della spedizione ha dato forfait. Ultimate le procedure, ci spostiamo a Los Penitentes (2725 m), stazione sciistica che in estate viene adoperata come punto d’approdo in vista della spedizione vera a propria verso l’Aconcagua.

 

Giorno 1 – 1 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

Sveglia alle 8:00. Andiamo a caricare le attrezzature e le sistemiamo ai poveri muli, chiamati a loro volta a portare questi fardelli fino al primo campo a 3400 m. Da Los Penitentes ci rechiamo ad Horcones, che è l’ingresso ufficiale del Parco Provinciale Aconcagua. Da lì iniziamo a camminare per 3 orette circa, con un paesaggio desertico alpino, poca vegetazione ed un fiume che si snoda vicino a noi. C’è tanto vento e molto caldo. Camminiamo silenziosamente e arrivati a Confluencia (3368 m) dove c’è il primo campo iniziamo a montare le tende e conseguentemente ci riposiamo un po’ in vista della giornata successiva, quella dell’acclimatamento, che ci porterà a quota 4200 m e poi nuovamente a Confluencia.

 

Giorno 2 – 2 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tempo di acclimatamento. La cosa che mi colpisce molto ed in maniera evidente, e che perdurerà per tutto il viaggio, è la constatazione che ognuno parte con uno spirito differente. Il nostro intento era di affrontare la spedizione con grande concentrazione e di impiegare il minor tempo possibile. Altri invece, spendendo 3 settimane, preferivano concedersi la possibilità di far casino la sera con uno spirito non proprio “montanaro”. Ma torniamo al secondo giorno. Si parte per questa zona che è la parete sud dell’Aconcagua verso Plaza Francia (4200 m), prendendo dal lato opposto la montagna. Per strada è tutto molto desertico, fin quando non arriviamo a destinazione dove parte una parete con un dislivello di 3000 m (che non si affronta) e con un ghiacciaio perenne davvero molto bello che purtroppo sta venendo meno. Stiamo lì un po’ a pranzo e poi torniamo indietro a Confluencia. Lì si trova una stazione medica, in cui ognuno di noi è sottoposto ad una serie di test di valutazione per potere andare avanti. Tutti con esito positivo sia per me sia per i compagni di spedizione.

 

Giorno 3 – 3 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ il giorno in cui lasciamo Confluencia (così denominata perché in corrispondenza di questa località si uniscono due fiumi…ah la fantasia!) per recarci al campo base di Plaza De Mulas (4260 m) a fronte di una percorrenza di 8 ore. E’ una giornata molto lunga e monotona. Siamo in questa valle tra le montagne. E’ bello stare tra montagne tra i 5-6000 m, riuscendo a scorgere anche la vetta dell’Aconcagua. Ma sembra che il percorso non finisca mai. Del resto parliamo di una trentina di km in ascesa.

Nell’ultimo tratto lascio andare il ragazzo polacco con la guida ed io do una mano al ragazzo francese che appare in difficoltà. Arriviamo al campo base in ritardo rispetto agli altri e Jean-Luc appare davvero stremato. Ma, come si dice, l’importante è arrivare. Per cui ci beviamo su una birra e non ci pensiamo più.

Giorno 4 – 4 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 4 giorno è un giorno di riposo. Facciamo una piccola passeggiata e ci spingiamo fino ai 4600 per capire la gamba e al contempo ci godiamo l’ultimo posto con l’elettricità e con i servizi.  Durante il “rest day” facciamo anche il check del materiale e dell’attrezzattura.

 

Giorno 5 – 5 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ il giorno della verità. Si fa sul serio. Passiamo dai 4300 di Plaza de Mulas ai 5500 circa di Nido De Condores. Stavolta tocca a noi fare i “mulas”, e così iniziamo a trasportare tutto il materiale non necessario. Sin dall’inizio ci rendiamo conto che Jean-Luc è in difficoltà. E’ così non ci segue nella salita. Con Gaston e Marcin proseguiamo nella salita ed arrivi amo alla tappa intermedia di Plaza Canada (5000 m) fino ad arrivare a 5600, poco più su di Nido De Condores, dove monteremo il campo. Arrivati lì non siamo così stanchi, così molliamo il materiale e scendiamo nuovamente a Plaza De Mulas. Discesa per me davvero stancante per via dei doppi scarponi e col morale basso per le condizioni del ragazzo francese, destinato ad abbandonare la spedizione per via di un forte malessere.

Giorno 6 – 6 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si recupera in quel di Plaza De Mulas. Jean-Luc dopo colazione ci saluta e torna a casa. E’ un giorno un po’ strano, visto che ci ritroviamo in 2. Ci viene consegnata la busta di plastica in cui, dall’indomani, dovremo mettere tutti, e dico tutti, i rifiuti perché non troveremo né contenitori né servizi. Ci godiamo, dunque, l’ultimo giorno della civiltà. Beviamo del vino, anche per contenere il fortissimo e gelido vento.

 

Giorno 7 – 7 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa è la giornata terribile! Mi sveglio abbastanza ottimista anche perché il 5° giorno sono arrivato a Nido De Condores in buone condizioni. Tuttavia siamo rimasti in due, oltre la guida, e dobbiamo caricare tutto il resto (dal sacco al pelo alla tenda). Ci attenderà una sola tenda da dividerci per ottimizzare il peso da caricarci. Oltre cio, dobbiamo portare anche il cibo. Ognuno dei nostri zaini pesa circa 15 kg.Io e Marcin decidiamo di partire prima della guida e teniamo un’andatura abbastanza sostenuta. Ed arriviamo su abbastanza stanchi. Infatti prima di montare la nostra tenda ci distendiamo nella tenda tecnica presente a Nido De Condores e restiamo lì venti minuti. Da questo momento cambiano drasticamente l’alimentazione, visto che il giorno dopo pensiamo di affrontare la scalata finale. Assumiamo tè e brodini vari (anche perché dovremo tener conto della mancanza dei servizi) e poi andiamo a letto al tramonto alle 21:00 in vista del risveglio alle 2:30 e della successiva scalata.

 

Giorno 8 – 8 Febbraio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ il giorno della salita finale! O meglio…sarebbe dovuto esserlo. Sveglia alle 2:30 dopo una notte insonne, dovuta al fatto che anche a 5600 c’è gente che pensa bene di fare casino anziché dormire. Indosso un cappuccio di lana, gli occhiali da sole con la maschera da sci. A livello del petto maglia tecnica, maglia dolcevita da snowboard, felpa tecnica con cappuccio a coprire il cappuccio di lana, LA MAGLIA DEL CUS, altra felpa da montagna e il giubbotto da -10. Sotto pantaloni di pile e pantaloni polari per sciare. Per finire paio di calzettoni e doppi scarponi. Alle mani doppio paio di guanti. Insomma…stile Fantozzi quando va a sciare!

Dopo la lunga preparazione, Gaston alle 3:00 ci dice che non è giornata per via del freddo e per il forte vento e che dobbiamo rimandare al giorno successivo. Incavolatissimo mi spoglio, mi rimetto nel secco a pelo da -31 gradi (come massimale) e mi riaddormento. Al risveglio Marcin ne approfitta per riposarsi e recuperare, mentre io realizzo di star meglio fuori dalla tenda soprattutto per acclimatarmi e già che ci sono mi godo il paesaggio. Paesaggio davvero molto bello. Nei paraggi i condor ci fanno compagnia. Non sono il massimo a vederli, ma sono pur sempre forme di vita in un contesto ostile. Tutto il giorno mangiamo solo zuppa e te’. L’acqua, invece, tende a ghiacciarsi e sono costretto a coprirla coi calzettoni.

 

Giorno 9 – 9 Febbraio

E’ il giorno più lungo! Sveglia nuovamente alle 2:30, dopo una nottata insonne per la tensione in vista della scalata. Ci prepariamo, mi rivesto come in precedenza, metto la lampada frontale e si parte. C’è un vento e un freddo non da poco. Da subito Marcin non può usare più i bastoni. Malgrado i doppi guanti è costretto a riparare le mani dentro le tasche del giubbotto. Io cerco di continuare. Saliamo fino ai quasi 6000 m del Campo Berlin (4 pezzi di legno) e cerchiamo di avere un piccolo riparo lì essendo ancora buio. L’ingresso è coperto di ghiaccio e siamo costretti a spaccarlo per entrare. Tuttavia scopriamo che il vento ha divelto il soffitto e quindi siamo coperti solo lateralmente. Dopo 10 minuti ci raggiungono altre tre persone.

Finita la sosta ci rimettiamo in cammino e stavolta sono io ad avvertire freddo alle mani. Mentre camminiamo fa capolino la luce e raggiungiamo altra gente. Nel momento in cui esce finalmente il sole indosso la maschera da sci. Arriva anche l’alba, ma il freddo persiste e saliamo fino alla “Canaletta”, una sorta di canale che taglia di traverso ed espone al vento fino all’ascesa finale della montagna. A quel punto troviamo una lingua di neve e ghiaccio e indossiamo i ramponi per superarla. Il vento continua il suo corso. E a partire dai 6500 m si inizia ad avvertire fortemente la rarefazione dell’aria. Per far fronte al problema ogni 15 minuti ci fermiamo e ripigliamo un po’ d’aria. Arrivati ai 6600 ci riposiamo un attimo e poi quasi tutto d’un fiato partiamo alla volta della vetta. Ma impieghiamo 2-3 ore per arrivare a destinazione. In cima all’Aconcagua a 6900 m troviamo 4 polacchi. Siamo dunque in 7: 5 polacchi, 1 cileno e 1 italiano. Lo so, sembra una barzelletta. Ma tant’è! Stiamo lì un po’ e la sensazione è bella perché è molto più alta delle altre montagne circostante. C’è vento ed alcune nuvole. La visibilità è ridotta, ma si vedono diverse montagne innevate al di sotto. Ed è una emozione intensa. La giornata non è ancora finita. Dobbiamo tornare indietro e fare tutto daccapo. La discesa è più semplice ma siamo abbastanza stanchi. Inoltre manca sempre l’aria e dobbiamo rimettere i ramponi. Ad ogni modo procediamo in maniera regolare passiamo nuovamente da Campo Berlin e per finire facciamo ritorno a Nido De Condores quasi col buio. Siamo davvero stanchi! Andiamo a letto senza mangiare. Contenti ma distrutti!

 

Giorno 10 – 10 Febbraio

Ultimo giorno di spedizione per me e Marcin. Non è una giornata semplice come sembra. Freddo da paura. Ci scegliamo alle 6:30 e iniziamo a smontare tutto. Carichiamo tutto negli zaini e scendiamo dai 5600 di Nido de Consores a Plaza De Mulas. Io procedo lentamente a causa di un freddo alle mani mai percepito prima. Arrivati a Placa De Mulas, ci rilassiamo un attimo e carichiamo i muli. Dopo ciò iniziamo la discesa a piedi fino all’uscita del parco per un totale di altri 27 km. La giornata è lunghissima e infinita. Tra l’altro troviamo la piena del fiuma e lo attraversiamo con l’acqua alta. Per fortuna l’arrampica mi torna molto utile e aiuto anche la guida a trovare la strada giusta. Approdiamo infine a Horcones col buio per cui dobbiamo mettere la luce frontale. Chiudiamo con una meritatissima birra alle 21 a Los Penitentes. E poi a Mendoza, da dove tutto è iniziato.

 

Questo è il mio diario di viaggio. E’ trascorso appena un giorno dall’epilogo. Non ho avuto molto tempo per fermarmi a pensare in questi 10 giorni. In realtà il tempo l’avrei anche avuto, ma non la possibilità. Pur essendo stata una spedizione in montagna, non ho avuto tempo da dedicare a me stesso anche per via di una cosa che mi ha colpito e infastidito. E’ stato strano constatare che molta gente non va lì per concentrarsi e focalizzarsi sull’obbiettivo finale. Molti vanno lì cercando di portare la propria quotidianità, facendo caciara nelle ore notturne o mettendo musica ad alto volume.

Ma poco importa. La cosa più importante è il risultato. Ce l’ho fatta! Ammetto che al momento provo un piccolo vuoto. Adesso ho bisogno di metabolizzare. Resta comunque l’enorme soddisfazione che ho provato una volta arrivato alla sommità, vedendo tutto al di sotto di me. Sono davvero felice per quanto ho realizzato. Un ringraziamento particolare a chi mi è stato accanto: la mia famiglia, per il CUS Catania Clara (ndr Responsabile Arrampicata Sportiva CUS Catania), Liliana (ndr Trainer CUS Catania), Giuseppe (ndr Responsabile Comunicazione CUS Catania) e altri amici. Adesso è strano pensare di tornare alla quotidianità affrontando i problemi di tutti i giorni. Ma così è. That’s it!

Antonio Aiello